Al Borgo di San Giovanni si accede passando dall’Arco d’Augusto percorrendo quell’antica Via Flaminia che dovrebbe congiungere Rimini con Roma, ma che in quel tratto che attraversa il borgo si chiama XX Settembre e ricorda una data storica del Risorgimento, tant’è che dal 1895 ai giorni nostri il borgo fu chiamato proprio Borgo XX Settembre. Prima ancora di San Giovanni, era stato chiamato San Bartolo, San Genesio e San Gaudenzo, l’immancabile patrono di Rimini, cui quelle zone sono legate, perché un po’ più avanti si troverebbe il posto in cui il santo fu martirizzato e dove sorse il più antico santuario della città l’Ecclesia Beati Gaudentii.
Ma tornando al nostro borgo, la stessa Chiesa di San Giovanni Battista è legata alla fondazione di un’altro antico luogo di culto, la Basilica di Santo Stefano, si dice opera della munifica Galla Placidia, di cui si ha menzione dal V all’VIII secolo, e su le cui adiacenze sarebbe sorta la nuova chiesa dedicata a San Giovanni, ricordata in una bolla papale del 1144 come Cappella di San Giovanni, unica parte rimasta della distrutta Basilica di Santo Stefano. Dal 1573 al 1797 l’edificio fu tenuto dai Carmelitani che vi eressero un convento e nel 1625 fecero ricostruire la chiesa, la quale fu poi rinnovata nel ‘700. La chiesa di San Giovanni Battista è dedicata anche alla Beata Vergine del Carmine al cui interno ha una cappella decorata con gli stucchi dell’artista settecentesco Antonio Trentanove, ma è di un’altra cappella di cui ci vogliamo fermare a parlare, quella dove è collocata la più importante opera d’arte di questo santuario: la Madonna col Bambino e i santi Andrea Corsini, Teresa e Maddalena de’ Pazzi -ovvero tre santi carmelitani – dipinta da Guido Cagnacci, pittore santarcangiolese di grande bravura, tra il 1630 e il 1631.
All’irrequieto pittore seicentesco e a questa chiesa come al borgo è legata una vicenda scandalosa di cui parleremo in seguito, nel frattempo vorrei ricordare che alla Biblioteca Gambalunga di Rimini è custodito il ritratto di questo “pictor egregius” così descritto nel 1752 da Marino Medici e riconosciuto tra i grandi nel nostro tempo in una bellissima mostra del 2008 intitolata “Guido Cagnacci, protagonista del Seicento tra Caravaggio e Reni“.
Nella chiesa di San Giovanni sono tante le opere d’arte che meritano una visita come potete vedere nelle foto, ma tutto il borgo che in pratica si estende lungo la via principale munita di parcheggi e pista ciclabile in entrambe le direzioni, merita di essere attraversato in una rilassata passeggiata, per curiosare tra i suoi negozi, mercatini, gallerie o per fermarsi a gustare le specialità dei suoi caffè pasticcerie, ristoranti osterie, cantine, piadinerie, gastronomie. Un’altro edificio storico che spicca tra le case del borgo è l’ottocentesco Palazzo Ghetti, di stampo neoclassico, fu sede della fabbrica degli zolfanelli, oggi di una banca.
Anche questo borgo ha la sua festa, sempre biennale, che cade la seconda settimana di luglio, in occasione delle festività religiose dedicate alla Beata Vergine del Carmine.
E ADESSO PARLIAMO UN PO’ DI
GUIDO E TEODORA
Rimini, 20 ottobre 1628. Il pittore santarcangiolese Guido Cagnacci e la contessa riminese Teodora Stivivi, vedova Battaglini, si giurano segretamente eterno amore in un atto scritto davanti a due testimoni. Secondo le convenzioni del tempo, il loro è un amore proibito, per questo motivo i due innamorati si obbligano per iscritto a prendersi come marito e moglie appena ce ne sarà l’occasione e la notte seguente tentano di fuggire insieme. Tentativo sventato dalle guardie episcopali grazie alla delazione del padre di lui, preoccupato che il figlio possa rovinarsi la vita compiendo una simile follia.
Così i due fuggiaschi vengono fermati in una casa del Borgo San Giovanni; lui riesce a scappare e a nascondersi nella vicina chiesa dei Carmelitani, lei, nonostante si sia travestita da uomo, viene arrestata. Rinchiusa nel convento delle Convertite per due anni, Teodora sarà liberata solo dopo essere stata processata e costretta dalla famiglia a sposare il nobile e ricco nipote Vincenzo Ricciardelli.
Guido vagherà per una ventina d’anni tra i territori dell’Emilia Romagna e delle Marche, lasciandosi dietro numerose opere, la maggior parte delle quali a carattere e committenza religiosa, sin quando dovrà rifugiarsi in esilio a Venezia, reo di aver rivendicato la legalità del suo matrimonio con Teodora, peraltro mai riconosciuta, e la sua “roba“. Come sempre fu tutta una questione di roba: contesa tra il pittore e i parenti di lei, appartenenti alle più ricche e illustri famiglie nobili riminesi.
Il Cagnacci finirà i suoi giorni a Vienna nel 1663, dopo essere stato per cinque anni il pittore di corte di Leopoldo I, mentre Teodora, rimasta vedova una seconda volta, gli sopravvivrà di circa vent’anni. Curioso è notare che entrambi, ad un certo punto della loro vita, ebbero un legame con Cesenatico. Guido prima di partire per Vienna, nel 1558 comprerà una casa – poco più che un capanno – sul porto di Cesenatico e Teodora nel suo testamento lascerà una generosa donazione ad una sua serva di Cesenatico. La domanda nasce spontanea, cosa deve aver fatto una serva per meritarsi un trattamento così generoso dalla sua padrona? Forse favorire i suoi incontri clandestini con il suo amato e mai riconosciuto marito.
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